La contessina, Venezia, Fenzo, 1743

Vignetta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Strada remota.
 
 PANCRAZIO e LINDORO
 
 Pancrazio
 Figlio, l’abbiamo fatta bella.
 Lindoro
                                                     Il dissi
 che negata l’avria.
 Pancrazio
                                    Negarla è il meno
 ma i strapazzi, le ingiurie? Ah giuro al cielo,
325sofferirle non vuo’.
 Lindoro
                                     Che n’ha da fare?
 Che pensate di far?
 Pancrazio
                                       Lascia per ora
 d’amoreggiar collei; poscia col tempo
 penseremo la via di vendicarci.
 Lindoro
 Ah caro padre, eccomi a’ vostri piedi.
 Pancrazio
330T’intendo, gran tormento
 ti darebbe il lasciarla un sol momento.
 Non è così?
 Lindoro
                        Purtroppo è ver ma quello
 che mi tormenta più si è la promessa
 fattagli che veranno
335da Milano le prove in quantità
 della mia simulata nobiltà.
 Pancrazio
 Oh grande amor di padre! Oh bel ripiego
 mi suggerisce a tuo favor la mente!
 Vanne, attendimi in casa; anch’io fra poco
340vi giungerò.
 Lindoro
                         Ditemi, a qual partito
 d’appigliarvi pensate?
 Pancrazio
                                            Io nulla ancora
 ti voglio dir. Va’ via curioso. Oh quanto,
 oh quanto riderai!
 Senti... Non lo vuo’ dir. Va’; lo saprai.
 Lindoro
345Di voi mi fido, attenderò impaziente,
 padre, del vostro amor sicure prove.
 Al tuo favor mi raccomando, o Giove. (Parte)
 
 SCENA II
 
 PANCRAZIO solo
 
 Pancrazio
 La voglio far; benché in età avanzata
 ho lo spirito pronto; e saprò bene
350la finzion sostener. Sì, di Lindoro,
 che marchese si finse, anch’io il marchese
 padre mi fingerò. Cangierò vesti;
 cangierò la favella e nell’aspetto
 trasformarmi saprò. Ah se mi riesce
355di ottenere l’intento,
 se deludo il superbo, io son contento.
 Ma se scoperto poi... Eh farò in modo
 che scoprir non potrà... Però può darsi...
 La voce... la pronuncia... E che sarà?
360Non ho timor... Facciasi... E pur io sento
 un certo non so che,
 che se non è timor, qualcosa egli è.
 
    La faccio o non la faccio?
 Che mi consiglia il cor?
365Sarei un asinaccio
 mostrando aver timor.
 Sì sì... così farò...
 
    Ma adagio, adagio un po’.
 Se poi... se mai... se il fato...
370Non so; son imbrogliato,
 risolvere non so.
 
    Mi sento aver coraggio;
 desio di vendicarmi;
 ma poi sì poco saggio
375non son di cimentarmi;
 son io fra il sì ed il no.
 
 SCENA III
 
 Cortile del conte.
 
 CONTESSINA e GAZZETTA
 
 Contessina
 Presto, parla, che vuoi?
 Gazzetta
                                             La lassa almanco
 che chiappa un po’ de fiao!
 Contessina
                                                    Spicchiati; offendo
 l’alta mia nobiltà, se lungamente
380mi trattengo a parlar con bassa gente.
 Gazzetta
 Se no la vuol parlar con zente bassa,
 sotto le scarpe metterò i pontelli
 o la vagga a parlar coi campanieli.
 Contessina
 (Che temerario!)
 Gazzetta
                                   Se la se contenta
385gh’ho un non so che da darghe.
 Contessina
                                                           E che?
 Gazzetta
                                                                          Ho paura
 che in collera la vagga.
 Vuola, patrona mia, che ghe la daga?
 Contessina
 Mi fa rider costui; ma ch’è mai questo
 che darmi vuoi?
 Gazzetta
                                 Un sior tutto farina
390da portarghe el m’ha dà sta letterina.
 Contessina
 Una lettera a me? Non la ricuso,
 se un principe l’ha scritta;
 ma se qualche plebeo l’avrà vergata,
 ad esso tu la renderai stracciata.
 Gazzetta
395Se scritta l’averà qualche plebeo,
 la manderemo in Roma al Culiseo.
 Contessina
 È il duca d’Albanuova. Oh non ricuso
 dell’illustre soggetto il degno foglio;
 l’accetto e mi contento.
 
 SCENA IV
 
 LINDORO e detti
 
 Lindoro
400(Oh femmina bugiarda! Oh ciel, che sento?)
 Contessina
 Veramente è compito. In miglior forma
 scrivere non si può. Conosce bene
 egli il merito mio,
 così finisce: «Illustre dama, addio».
 Lindoro
405(Ho scoperto il suo cor).
 Gazzetta
                                              Sala l’usanza
 che corre per el mondo?
 Contessina
                                               Io non la so.
 Gazzetta
 Se la permette ghe la insegnerò.
 A un omo che s’incomoda
 a far el battifuogo o sia el mezan
410per usanza ghe va la bonaman.
 Contessina
 Sì sì, ricompensarti
 a suo tempo saprò; per or ti basti
 l’onor del mio benigno aggradimento.
 Via bacciami la mano, io mi contento.
 Gazzetta
415Non ricuso el favor,
 donca la man ghe baso ma de cuor.
 Contessina
 Vanne e se vedi il duca
 digli che le sue grazie a me son care,
 che poi risponderò, che la mia fede
420ad altri ho già impegnata
 ma che per cicisbeo non lo ricuso,
 poiché già tal di mia famiglia è l’uso.
 
    Codesto consiglio
 la madre mi dà:
425«Lo sposo di qua,
 l’amico di là».
 
    Ma poi, se pretende
 l’amico sen va
 ma nulla s’offende
430la bella onestà.
 
    Il viver del mondo
 sì facil non è.
 Conoscer il fondo
 del core si de’.
 
435   Talor dalla gente
 sparlando si va
 e pur innocente
 la tale sarà.
 
 SCENA V
 
 GAZZETTA e LINDORO
 
 Gazzetta
 La parla ben, la parla ben da seno.
 Lindoro
440L’ira più non raffreno.
 Tu mezzano bricone,
 tu le lettere porti alla contessa?
 Gazzetta
 Cossa voleu saver sior canapiolo?
 Sior scartozzo de pevere muschià
445via caveve de qua, se no ve zuro
 che ve batto la panza a mo’ tamburo.
 Lindoro
 Ah! Temerario, a me? (Mette mano)
 Gazzetta
                                            Se catteremo.
 Voi su la schena scavezzarte un remo. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 LINDORO solo
 
 Lindoro
 Sempre non fuggirai. Ma l’ira mia
450non è contra costui. L’empia, l’infida
 mi sta sul cor. Come del cicisbeo
 si provede così pria del marito?
 Soffra chi vuol; soffrirlo non vogl’io,
 no, non la voglio più. Col padre unito,
455di cui mi piacque l’invenzion bizzarra,
 vendicarmi vogl’io de’ torti miei.
 Oh! Sesso femminil quant’empio sei!
 
    Stolto chi crede
 di donna al core,
460non serba fede,
 non sente amore,
 ditelo amanti,
 non è così?
 
    Finge d’amare
465ma cangia poi
 gli affetti suoi,
 come si cangia
 la notte e il dì.
 
 SCENA VII
 
 Il CONTE, poi GAZZETTA
 
 il Conte
 Camarieri, staffieri, cuochi, sguatari,
470tutto in ordin sia posto;
 s’attende in questo giorno da Milano
 il celebre marchese Cavromano.
 Or sì ch’io son contento
 di dar la contessina al marchesino,
475ora che vien dal proprio suo paese
 a dimandarla il genitor marchese.
 Gazzetta
 Lustrissimo patron allegramente.
 il Conte
 Che c’è di nuovo?
 Gazzetta
                                   Forestieri.
 il Conte
                                                         È forse
 del marchese Lindoro il genitore?
 Gazzetta
480Credo de sì.
 il Conte
                         È in gondola?
 Gazzetta
                                                    In burchiello
 cargo da poppe a prova
 con tanti intrighi e tanti
 che una barca la par de comedianti.
 il Conte
 È lui senz’altro. Vanne tu Gazzetta,
485apri tosto la riva.
 Fa’ che introdotto sia.
 Gazzetta
 Ghe mancava de più st’altra caia. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Il CONTE e servi, poi PANCRAZIO finto marchese, con seguito
 
 il Conte
 Olà servi, venite,
 ite incontro al marchese,
490fatele riverenza ed a lui dite
 che essendo titolato
 io lo faccio introdur senz’anticamera.
 Ora in questo paese
 si vedrà chi son io
495e qual si tratti un cavaglier par mio.
 Pancrazio
 Al conte Baccellon Parabolano
 or s’inchina il marchese Cavromano.
 il Conte
 O degno sol, cui d’umiliarsi or degni
 il conte Baccellon Parabolano,
500a voi m’inchino e datemi la mano.
 Pancrazio
 Mano degna di stringere uno scettro.
 il Conte
 Dite marchese mio, come si parla
 in Milano di noi?
 Pancrazio
                                   Non passa giorno
 che per quella città
505non si esalti la vostra nobiltà.
 Ciascun parla di voi; tutto il paese
 conoscervi sospira
 ed ogni dama ad obbedirvi aspira.
 il Conte
 Converrà poi ch’io dia piacere al mondo,
510ch’io mi faccia veder.
 Pancrazio
                                          Son io venuto
 già sapete perché. Grazie vi rendo
 dell’onor che voi fate al figlio mio.
 Se sapeste quant’io
 ho faticato a superar gl’impegni
515che tenevo in Milano, oh se sapeste
 conte, ve lo so dir che stupireste.
 Ognun voleva parentarsi meco.
 Il marchese Busecca,
 il duca Cervellato,
520il principe Strachino,
 il cavalier Tortione,
 sino il governator di Mezzomiglio,
 per genero volean tutti mio figlio.
 il Conte
 E voi scieglieste me? Si vede bene
525nel vostro rubicondo almo sembiante
 che della nobiltà voi siete amante.
 Pancrazio
 Amo li pari miei. So che voi siete
 di più titoli adorno.
 Io per un anno intero
530un titolo mostrar posso ogni giorno.
 il Conte
 Poffarbacco baccon, quest’è ben molto.
 Pancrazio
 Vi dico il ver, non son mendace o stolto.
 Olà, prendi salame,
 apprimi quel baullo e qua mi recca
535li privileggi miei.
 il Conte
 Non s’incomodi no, lo credo a lei.
 Pancrazio
 Non sono un impostor. Mirate qua,
 l’arbore è questo di mia nobiltà.
 Ecco l’autor del ceppo mio: Dindione
540re de’ Galli e Galline,
 da cui per linea retta anch’io discendo.
 Sovra il regno degl’Ovi anch’io pretendo.
 il Conte
 E con ragion.
 Pancrazio
                           Ecco il mio marchesato
 fra cavoli e verzotti situato.
545Questa qui è una contea
 ereditata da una dama ebrea.
 E questo è un prencipato,
 il di cui feudatario fu appiccato.
 Mirate quattro titoli in un foglio,
550conte, duca, marchese e cavaliero.
 Ecco li quattro stemmi,
 un cane, un mulo, un gatto ed un braghiero.
 il Conte
 Anche un braghiero?
 Pancrazio
                                         Sì, vi pare strano?
 Mirate qui quest’altro marchesato
555ch’ha per arma le corna d’un castrato;
 e poi volete in corto
 veder ciò ch’io possiedo? Ecco raccolto
 in questa breve carta il poco e il molto.
 Trecentomila campi
560che rendon cadaun anno
 trenta e più mila scudi sol di paglia,
 settecento villaggi all’Ombelico,
 quattro provincie intere
 in luogo che si chiama il Precipizio
565e ventisei contadi all’Orificio.
 il Conte
 Non voglio sentir altro. Son contento,
 vado a chiamar la contessina; io voglio
 recare ancora a voi
 l’onor di rimirar i lumi suoi.
 Pancrazio
570S’è bella come voi, sarà bellissima
 e se serena in volto
 come voi siete, sarà serenissima.
 il Conte
 Bella, bella non è ma può passare.
 È vezzosa e gallante e sa ben fare.
 
575   Ha un certo brio
 che so ben io;
 la vederete,
 vi piacerà.
 
    Ma quando poi
580non piaccia a voi,
 al figlio vostro
 piacer dovrà.
 
 SCENA IX
 
 PANCRAZIO, poi la CONTESSINA
 
 Pancrazio
 Se l’ha bevuta il conte; oh bene oh bene,
 Pancrazio a noi, la contessina or viene.
 Contessina
585Riverente m’inchino
 all’illustre marchese Cavromano.
 Pancrazio
 Oh oh, baccio la mano
 alla mia contessina,
 a quella che in briev’ora
590la sorte avrà di divenir mia nuora.
 Contessina
 Sì, mia sorte sarà. Ma vostro figlio,
 sendo meco accoppiato,
 potrà anch’egli chiamarsi fortunato.
 Pancrazio
 Da questo matrimonio,
595in cui felicità non manca alcuna,
 vedrem ripartorita la fortuna.
 Contessina
 Nobilissimo mio suocero amato,
 ditemi in cortesia,
 come ben vi trattò sì lungo viaggio?
 Pancrazio
600Io venni a mio bell’agio.
 Stavo in una carrozza
 in cui v’era il mio letto,
 la poltrona, la tavola, il scrittorio,
 la credenza, il cammin, la tavoletta
605e con rispetto ancora la seggetta.
 Contessina
 Era un bel carrozzone.
 Pancrazio
                                           Era tirato,
 sappia signora mia,
 da sessanta cavalli d’Ungheria.
 Contessina
 Come fece a passar per tante strade,
610anguste e disastrose?
 Pancrazio
 Ho fatto delle cose prodigiose.
 A forza d’acquavite ho rotto i monti,
 ho fatto far dei ponti;
 e gli alberi tagliati, io non v’inganno,
615potrian scaldar cento famiglie un anno.
 Contessina
 Gran cose in verità!
 Pancrazio
                                       Tutto s’ottiene
 a forza di denaro.
 Io non son uomo avaro,
 per farmi voler ben dalle persone,
620ogn’anno getterò più d’un millione.
 Contessina
 (Egli è ricco sfondato). Ecco mirate
 il marchesin che arriva.
 Pancrazio
                                              Egli d’Europa
 è il cavalier più ricco e non lo passa
 nei tesori serbati alle sue mani
625altro che il gran signor degli Ottomani.
 Contessina
 (Oh miei felici amori,
 mentre a parte sarò de’ suoi tesori!)
 
 SCENA X
 
 LINDORO e detti
 
 Lindoro
 Marchese padre.
 Pancrazio
                                  Marchesino figlio.
 Lindoro
 Che siate benvenuto.
 Pancrazio
630Più bello sei da che non ti ho veduto.
 Contessina
 Non degnate mirarmi?
 Lindoro
                                             Eh mia signora,
 se lo sposo vi reca affanno o tedio,
 il duca cicisbeo porga il rimedio.
 Pancrazio
 Oh questa è bella!
 Contessina
                                    Come, vi sdegnate
635perché di cicisbeo m’ho proveduto?
 Lindoro
 Di cicisbeo non so né d’altra cosa;
 so ch’io voglio esser sol, signora sposa.
 Pancrazio
 (Fingi; pazienta un poco,
 fin che finisca il gioco).
 Contessina
                                             E che parlate
640signori fra di voi?
 Pancrazio
 Consolo il figlio negli affanni suoi.
 Ah marchesino osserva
 nella tua contessina
 a te quale bellezza il ciel destina;
645che volto, che maestà, che ciglio altero.
 È degna d’un impero,
 dal suo fastoso aspetto
 l’alta sua nobiltà si scorge e vede.
 (Dico per minchionarla e non s’avvede).
 Contessina
 
650   Marchese mi onora
 con troppa bontà.
 
 Pancrazio
 
    Perdoni signora,
 già il vero si sa.
 
 Lindoro
 
    Scopersi a buonora
655la sua infedeltà.
 
 Contessina
 
    Guardate, non parla,
 sdegnato è con me.
 
 Pancrazio
 
    Ingrato, sdegnarla
 mio figlio perché?
 
 Contessina
 
660   Mio caro tu sei.
 
 Lindoro
 
 Non vuo’ cicisbei.
 
 a tre
 
 Un uomo geloso
 riposo non ha.
 
 Pancrazio
 
    Codesto è un intrico.
 
 Lindoro
 
665Lo spiego, lo dico
 che solo esser voglio.
 
 Pancrazio
 
 Codesto è un imbroglio.
 
 Contessina
 
 Un’alma bennata
 sospetto non dà.
 
 Lindoro
 
670   Signora garbata
 nol so in verità.
 
 Fine dell’atto secondo